LA CORTE DI CASSAZIONE
   Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso proposto da Savone
 Ornella in Ferri residente  in  Riva  del  Garda,  via  Montanara  2,
 elettivamente  domiciliata in Roma, via Cassiodoro, 19, c/o lo studio
 dell'avv. Arturo Alfieri che la rappresenta e difende unitamente agli
 avvocati Pietro Bonardi e Giuseppe Porqueddu per  mandato  a  margine
 del  ricorso, ricorrente, contro il comune di Desenzano del Garda, in
 persona del sindaco pro-tempore, elettivamente domiciliata  in  Roma,
 via  Collina,  36,  c/o  lo  studio  dell'avv.  Gaetano Jacono che lo
 rappresenta e  difende  unitamente  all'avv.  Angelo  Rampinelli  per
 mandato a margine del controricorso, controricorrente;
    Visto  il  ricorso  avverso  la sentenza n. L121/90 del pretore di
 Brescia, sezione distaccata di Lonato, del  29  novembre  1990  (r.g.
 L134/89);
    Udito  il consigliere relatore dott. Paolo Vittoria nella pubblica
 udienza del 10 luglio 1992;
    E' comparso l'avv. A. Alfieri  difensore  del  ricorrente  che  ha
 chiesto l'accoglimento del ricorso;
    E'  comparso  l'avv.  G.  Jacono  difensore  del resistente che ha
 chiesto il rigetto del ricorso;
    Sentito il p.m., in persona del sost. proc. gen. dott. Aloisi  che
 ha concluso per il rigetto del ricorso;
                           RITENUTO DI FATTO
    1.  -  Ornella Savone proponeva opposizione agli atti esecutivi in
 relazione alla espropriazione forzata mobiliare per la riscossione di
 entrate patrimoniali, intrapresa  in  suo  confronto  dal  comune  di
 Desenzano del Garda.
    Con  ricorso  alla  sezione  distaccata  di  Lonato  della pretura
 circondariale di Brescia, Ornella Savone esponeva  che  il  31  marzo
 1989  il  comune aveva chiesto la notifica in suo confronto dell'atto
 di precetto, indirizzandolo a Riva del Garda, via Montenova, 2, luogo
 dove lei notoriamente dimorava ed operava.
    Il  comune  aveva  poi  iniziato  l'esecuzione,  non  nelle  forme
 previste  dal codice di procedura civile, ma in quelle stabilite, per
 la riscossione delle entrate patrimoniali, dal r.d. 14  aprile  1910,
 n. 639, senza peraltro rispettarle puntualmente.
    La   ricorrente   deduceva,  tra  l'altro,  che  nell'eseguire  il
 pignoramento non erano state  rispettate  le  forme  prevedute  dagli
 artt. 6 e 7 del r.d. 14 aprile 1910, n. 639.
    2.  - Il comune di Desenzano del Garda si costituiva in giudizio e
 chiedeva che l'opposizione fosse rigettata.
    Il comune osservava che  la  debitrice  non  aveva  domicilio  nel
 comune  in  cui  era  stato eseguito il pignoramento e che percio', a
 norma dell'art. 6, ultimo comma, del r.d. 14  aprile  1910,  n.  936,
 l'atto  di  pignoramento  - di cui la ricorrente assumeva di non aver
 avuto notizia - era stato rimesso per suo conto al sindaco.
    3. - Il pretore riteneva, tra l'altro, che:
      l'atto  di pignoramento non era nullo per il fatto di non essere
 stato redatto in  presenza  di  due  testimoni  e  di  non  contenere
 l'intimazione  al debitore di pagare nei dieci giorni successivi pena
 la vendita (secondo quanto,  invece,  stabilito  nell'art.  6,  primo
 comma, del r.d. 14 aprile 1910, n. 639).
    Cio'  perche'  ambedue  le  prescrizioni  non  erano espressamente
 sanzionate da nullita': l'inosservanza della prima non  poteva  dirsi
 dar  luogo  a  mancanza  di un requisito indispensabile, quella della
 seconda era da ritenere supplita dal precetto e dalla intimazione  in
 esso contenuta;
      la  ricorrente  non  aveva  depositato  la  copia  dell'atto  di
 pignoramento e dunque non era provato che non fossero state osservate
 le prescrizioni circa la  nomina  dello  stimatore  (cui  il  sindaco
 provvede,  a norma dell'art. 7, primo comma, del r.d. 14 aprile 1910,
 n. 639, scrivendo la nomina  in  calce  ad  una  copia  dell'atto  di
 pignoramento, che l'ufficiale giudiziario gli trasmeette.
    4.  -  Ornella Savone ha proposto ricorso per cassazione deducendo
 un motivo articolato in tre censure.
    La ricorrente ha sostenuto che l'atto di  pignoramento  era  nullo
 perche'  non  redatto  alla presenza di due testimoni; che non le era
 stata rivolta la intimazione a  pagare  entro  il  termine  di  dieci
 giorni  dal  pignoramento  pena  la vendita; che il prezzo d'asta era
 stato stabilito senza che si fosse previamente proceduto alla  nomina
 di uno stimatore.
    Il comune di Desenzano del Garda ha resistito con controricorso.
                        CONSIDERATO IN DIRITTO
    1.  -  Il giudizio davanti a questa Corte non puo' essere definito
 indipendentemente dalla risoluzione della questione  di  legittimita'
 costituzionale  della  norma  contenuta nell'ultimo comma dell'art. 6
 del r.d. 14 aprile 1910, n. 639, la' dove  esso  dispone  che  se  la
 copia  dell'atto  di  pignoramento  non  puo'  essere  consegnata  al
 debitore o a persona che lo  rappresenta,  mentre,  ove  il  debitore
 abbia  domicilio nel comune in cui il pignoramento e' stato eseguito,
 la copia gli e' rimessa, quando egli ha domicilio altrove  "la  copia
 si rimette, per conto del debitore, al sindaco".
    La  norma  appare  in  contrasto  con  gli  artt.  3  e  24  della
 Costituzione.
    2. - Le ragioni per cui il giudizio non puo'  essere  definito  se
 non applicando la norma richiamata sono le seguenti.
    La   ricorrente   ha  proposto  opposizione  agli  atti  esecutivi
 sollevando  tre  questioni  attinenti  al  rispetto  di   norme   che
 disciplinano  la esecuzione sui mobili per la riscossione coattiva di
 entrate patrimoniali (artt. 5 e 15 del r.d. 14 aprile 1910, n. 639).
    Tale opposizione e' ammissibile, come la  Corte  ha  ritenuto  con
 sentenza,  in conformita' della sua costante giurisprudenza (Cass. 29
 maggio 1992, n. 6489; 15 gennaio 1973, n. 144; 7  dicembre  1972,  n.
 3542; 28 luglio 1972, n. 2592; 13 giugno 1972, n. 1849): cio' in base
 alla   considerazione  che  la  riscossione  coattiva  delle  entrate
 patrimoniali, strutturata dagli artt. 5 e seguenti del r.d. 14 aprile
 1910, n. 639, deve essere considerata un'esecuzione forzata. Donde la
 conseguenza - scaturente dal dettato dell'art. 2910, primo comma, del
 cod. civ. - che le norme espressamente dettate per la sua  disciplina
 debbono   essere  coordinate  con  quelle  stabilite  dal  codice  di
 procedura  civile  per  la  disciplina  generale  dell'espropriazione
 forzata.  D'altro  canto,  a  differenza  di quanto avviene nel campo
 della  riscossione  delle  imposte  dirette,  in   alternativa   alla
 opposizione  agli  atti  esecutivi  non risulterebbe preveduta alcuna
 altra forma di controllo, della legittimita' degli  atti  della  fase
 espropriativa,  suscettibile  a  sua  volta di innescare un sindacato
 giurisdizionale.
    Si e' detto che le questioni sollevate con il  ricorso  davanti  a
 questa Corte sono state tre.
    La  prima, attinente all'essere stato il pignoramento eseguito non
 in presenza di due testimoni - secondo quanto richiesto  dalla  prima
 parte  del  primo comma dell'art. 6 del r.d. 14 aprile 1910, n. 639 -
 e' stata giudicata non fondata, con la  sentenza  appena  richiamata:
 cio' in base alla considerazione che, mentre l'art. 594 del cod. civ.
 1865 richiedeva l'indicato requisito formale a pena di nullita', esso
 non  e' richiesto ora ne' dall'art. 519 del cod. civ. ne' dalle norme
 che,  dopo  l'entrata  in  vigore  di  questo,   hanno   disciplinato
 l'esecuzione per la riscossione delle imposte dirette (testo unico 29
 gennaio  1958,  n.  645;  d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602). Donde la
 conseguenza - scaturente dall'art. 156, primo  e  secondo  comma  del
 cod. proc. civ. - che non puo', essere pronunziata nullita' dell'atto
 di pignoramento compiuto a norma dell'art. 6 del r.d. 14 aprile 1910,
 n.  639,  ma non redatto in presenza di due testimoni, per non essere
 tale forma prescritta a pena di nullita' e per non  poter  essere  la
 stessa forma giudicata essenziale.
    La  seconda questione attiene all'applicaizone della norma dettata
 dall'art. 6, ultimo comma, del r.d. 14 aprile 1910, n. 639.
    Nel caso - secondo quanto e' pacifico - il pignoramento  e'  stato
 eseguito  su beni della debitrice che erano in possesso di un terzo e
 che il terzo ha consentito di esibire all'ufficiale  giudiziario  per
 il pignoramento. Il terzo non era rappresentante della debitrice, che
 d'altro  canto  aveva  domicilio  in  altro  comune. Nel rispetto del
 citato art. 6, ultimo comma, copia dell'atto e' stata rimessa per  la
 debitrice al sindaco.
    Se  la norma risultasse dichiarata costituzionalmente illegittima,
 per il fatto di prevedere che debba essere procurata al  debitore  la
 conoscenza  del  pignoramento  e pero' di contemplare anche una forma
 inidonea  a  realizzarla,  emergerebbe  il  problema  della   mancata
 conoscenza  del  pignoramento  e  della  intimazione  che  esso  deve
 contenere a norma dell'art. 6, primo comma.
    La Corte osserva - nell'ambito del giudizio di rilevanza - che non
 puo' escludersi  una  soluzione  che  porti  a  ritenere  viziato  il
 pignoramento  e  non solo gli atti successivi e che il problema della
 rilevanza dell'indicata mancata conoscenza non si  presta  ad  essere
 risolto affermando - con la sentenza impugnata - che la conoscenza e'
 stata procurata dalla anteriore notifica del precetto.
    La  terza  questione sollevata con il ricorso attiene alla mancata
 nomina dello stimatore, prescritta dall'art. 7, primo comma, del r.d.
 14 aprile 1910, n. 639.
    La  nomina  dello  stimatore  e'  cronologicamente  successiva  al
 pignoramento   ed  e'  certo  che  essa  non  si  inserisce  nel  suo
 procedimento di formazione. Risolta - in ipotesi - la questione della
 mancanza nel senso della invalidita', questa verrebbe ad incidere non
 sul pignoramento, ma sulla vendita, lasciando impregiudicato il punto
 della validita' di quello. Per converso, la ritenuta invalidita'  del
 pignoramento,  per  la  ragione  prima  indicata, renderebbe ultraneo
 l'esame della terza questione, cui la Corte ha  percio'  ritenuto  di
 soprassedere.
    3.  -  Le  ragioni  che  inducono  a  ritenere  non manifestamente
 infondato il dubbio che la norma richiamata al punto 1  possa  essere
 in contrasto sugli artt. 3 e 24 della Costituzione sono le seguenti.
    L'art.  10,  primo comma, del r.d. 14 aprile 1910, n. 639, dispone
 che "scorsi dieci giorni dal pignoramento di cui  all'art.  6,  senza
 che  sia soddisfatto il debito, l'ente creditore procede alla vendita
 degli oggetti oppignorati al publbico incanto, che si apre sul prezzo
 di stima".
    Norma di identico tenore era contenuta nell'art. 624, primo comma,
 del cod. proc. civ. 1805 ("La vendita non puo' farsi prima che  siano
 trascorsi  giorni  dieci  dal pignoramento") e nell'art. 38 del testo
 unico delle leggi sulla riscossione delle imposte  dirette  approvato
 con  r.d.  17 ottobre 1922, n. 1461; analogamente dispone oggi l'art.
 501 del cod. proc. civ., a norma del quale "l'istanza di assegnazione
 o di vendita dei beni pignorati  non  puo'  essere  proposta  se  non
 decorsi dieci giorni dal pignoramento ..".
    La   norma   tutela   l'interesse   del   debitore  a  non  subire
 l'espropriazione  dei  beni,  impedendo  che   l'esecuzione   forzata
 prosegua prima che sia trascorso un ulteriore termine, decorrente dal
 pignoramento, assegnato al debitore per adempiere.
    Correlate alla norma ora considerata sono quelle dettate nei commi
 primo ed ultimo dell'art. 6 del r.d. 14 aprile 1910, n. 63: correlate
 nel  senso  di essere volte a rendere edotto il debitore della tutela
 apprestata al suo interesse dall'art. 10.
   L'atto di pignoramento deve  contenere  l'intimazione  al  debitore
 che,  trascorso il termine stabilito dall'art. 10, si procedera' alla
 vendita  degli  oggetti   oppignorati   al   pubblico   incanto;   e'
 disciplianto il modo della comunicazione dell'atto di pignoramento al
 debitore.
    Questa  essendo  la disciplina del pignoramento mobiliare nel r.d.
 14 aprile 1910, n. 639, la norma dettata nell'ultima parte del quarto
 comma dell'art. 6  appare  contenere  una  previsione  irrazionale  e
 lesiva  del  diritto  che  quella  stessa disciplina configura, dando
 adito al dubbio che essa  contrasti  con  gli  artt.  3  e  24  della
 Costituzione.
    La  previsione  per  cui  -  non  verificandosi  alcuna  delle tre
 situazioni  gradatamente  contemplate  -  la  copia  dell'atto   veda
 rimessa,  per  conto  del  debitore,  al sindaco del comune in cui e'
 stato eseguito il pignoramento, configura in alternativa una forma di
 partecipazione inidonea a realizzare la conoscenza dell'atto, che  si
 vorrebbe rendere conoscibile, e tale da non consentire al debitore di
 avvalersi della tutela accordatagli.
    Si  e' osservato, piu' avanti, che l'art. 10, primo comma, r.d. 14
 aprile 1910, n. 639, detta norma di contenuto identico a quello della
 norma una volta dettata dall'art. 38 del r.d.  17  ottobre  1922,  n.
 1461.  Va aggiunto che norma di contenuto identico a quello del primo
 e quarto comma dell'art. 6 del r.d.  14  aprile  1910,  n.  639,  era
 dettata dall'art. 34 del r.d. 17 ottobre 1922, n. 1461.
    Orbene, la disciplina sul termine dilatorio e' rimasta (artt. 223,
 secondo  comma,  del testo unico 29 gennaio 1958, n. 645; 69, secondo
 comma del d.P.R. 29 settembre 1973, n.  602)  nella  regolamentazione
 della  esecuzione esattoriale. Non cosi' la forma di comunicazione di
 cui si discute, che e' stata sostituita dalla notifica del verbale di
 pignoramento  (artt.  222 del testo unico 29 gennaio 1958, n. 645; 68
 del d.P.R. 29 settembre 1973, n.  602)  da  effettuarsi  nelle  forme
 prevedute  dal  codice di procedura civile (artt. 200 del testo unico
 29 gennaio 1958, n. 645; 45 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602).